Gli studi sul cervello umano ci riservano sempre delle sorprese. Siete convinti che i neuroni a disposizione per ognuno siano quelli ricevuti in dotazione alla nascita? Siete convinti che il cervello a riposo sia inattivo? Preparatevi a cambiare idea, (o a evitare di leggere questo articolo).
E’ sempre stata opinione comune che i neuroni fossero le uniche cellule umane a non rinnovarsi. In realtà ogni giorno nascono 250mila neuroni nuovi, certamente un numero molto modesto se si pensa che tutti i neuroni di ogni individuo ammontano a circa 100 miliardi. Facendo dei semplici calcoli , infatti, occorrerebbero circa 1095 anni per rinnovarli tutti. Sia pur in numero molto limitato questi nuovi elementi possono aiutare a ridurre il decadimento cerebrale dovuto alla vecchiaia, il problema è che purtroppo se non vengono efficacemente integrati nei circuiti cerebrali esistenti questi neuroni neonati muoiono. Effettuando diversi esperimenti sugli animali la dottoressa Tracey J. Shors ha calcolato in massimo due settimane la vita dei nuovi neuroni in assenza di stimoli efficaci a farli maturare e inserire nei circuiti già esistenti. Affrontare prove impegnative, leggere, meditare, fare sport, passeggiare sono alcune delle attività che permettono di ottenere questo scopo permettendoci di contrastare il decadimento cerebrale della vecchiaia.
Fino a qualche anno fa si pensava che il cervello in ozio limitasse al massimo la sua attività. Addirittura trascurando delle anomalie che avrebbero dovuto instillare dei dubbi, la radicata convinzione era che ogni area cerebrale fosse inattiva fino a quando non venisse chiamata a svolgere un compito specifico. La teoria secondo cui l’essere umano usi solo una piccola parte del suo cervello deve probabilmente la sua fortuna proprio a questa convinzione.
Sbagliato! L’attività cerebrale è molto intensa anche in stato di quiete. Esiste una rete di neuroni, chiamata default mode network, che opera in maniera opposta a quanto detto ovvero è alla sua massima attività quando il cervello è a riposo e riduce la sua operatività quando il cervello viene chiamato a svolgere una attività specifica.
Il dottor Fabrizio Esposito, dell’università di Napoli, ha verificato che tanto meno è attiva quest’area di default tanto più il soggetto è capace di concentrarsi. Uno studio di accademici cinesi, inoltre, mette in relazione l’efficienza di questa area alla capacità di fare collegamenti tra idee e quindi trovare relazioni sottintendendo di fatto che l’area cerebrale in questione abbia un ruolo determinante nel coordinamento e nella promozione della collaborazione delle varie zone di cui il nostro cervello si compone.
Questi due studi hanno suscitato in me due considerazioni personali (e quindi da prendere per quello che sono).
Innanzitutto io vedo una rivalutazione dell’ozio che da padre dei vizi può diventare invece una fonte insostituibile di ispirazione. Scrisse Leopardi “E il naufragar m’è dolce in questo mare” per descrivere il flusso di pensieri spontanei che l’ozio seduto sul monte Tabor a Recanati gli induceva. Non a caso alcuni pongono la sede della coscienza proprio in quest’area che quindi potrebbe riservarci moltissime sorprese e rivalutare l’ozio che per la verità presso gli antichi non aveva sempre una accezione negativa. “Non mi sembra un uomo libero quello che non ozia di tanto in tanto” disse Cicerone e proprio i romani hanno coniato l’espressione di “Otium Litterarum” proprio per definire il tempo dedicato alla contemplazione, alla riflessione e alle attività culturali.
Sarà un caso se Newton immaginò le sue leggi sulla gravità oziando sotto un melo? Probabimente no! l’ozio attiva l’area di default che come abbiamo visto porta a sviluppare idee innovative.
La seconda considerazione è un po’ autobiografica. Ho avuto la fortuna di nascere quando il deficit di attenzione non veniva diagnostico però guardando alla mia storia e ai vari sintomi credo che qualcuno oggi avrebbe potuto diagnosticarmela. Rileggendo i report della buonanima della mia ottima maestra ci sono molte lamentele sulla mia distrazione mentre la capacità di fare collegamenti tra idee mi è sempre stata riconosciuta. Anche se dopo l’adolescenza la tendenza alla distrazione si è un po’ arginata comunque una sollecitazione interessante mi porta sempre ad astrarmi.
Tra sintomi molto eterogenei e la carica delle aziende farmaceutice con i loro ritrovati “miracolosi” sembra che ormai il deficit di attenzione sia una epidemia. A parte me e quei pochi ragazzi che ho conosciuto perchè demoralizzati a cui ho spiegato le strategie che uso per minimizzare gli svantaggi e massimizzare i vantaggi non posso assolutamente vantare una adeguata osservazione in questo campo però io comincerei a valutare a 360 gradi questa condizione e soprattutto non trascurerei il ruolo della default mode network che appunto raggiunge la sua massima attività in assenza di concentrazione. In fondo il ruolo di quest’area in alcune patologie è già stato preso in considerazione. Nella schizofrenia questa area ha una attività veramente esagerata e quindi il malato potrebbe essere indotto a confondere la realtà con l’immaginario mentre nei depressi l’area di default parrebbe avere una ridotta connessione con i settori del cervello che gestiscono le emozioni.