Una interessantissima ambivalenza femminile è legata all’approccio alla maternità. Ad una “consapevole” richiesta di condivisione degli impegni con il padre si contrappone spesso un “inconsapevole” (forse) boicottaggio. Perchè?
Uno dei paradossi dei nostri tempi che maggiormente colpisce è legato al rapporto delle donne con il partner nella gestione dei figli. Verso la fine del secolo scorso la galassia di gruppi femministi sosteneva la necessità di coinvolgere il padre nella cura dei figli. La richiesta in pochi decenni è stata accolta ed infatti gli uomini hanno iniziato a collaborare attivamente nella grande maggioranza dei casi con le compagne soprattutto quando la gravidanza non è stata imposta ma è stata una scelta condivisa.
Tutto bene?
Magari!
La fragilità dei rapporti moderni ha generato moltissime separazioni e all’improvviso i padri che si erano occupati dei figli si vedono negare questa possibilità dalle loro ex, le madri dei loro figli. Ormai sono tante le associazioni di padri separati, (ma anche di nonni/e paterni), che rivendicano il diritto di non essere marginalizzati e di avere un rapporto continuativo con i figli.
Cosa assolutamente incredibile, viste le premesse, sia la magistratura che molte madri e una parte consistente della galassia femminista si oppongono con forza alla bigenitorialità, ovvero ad occuparsi del bambino per il 50% del tempo, concedendo nei casi fortunati una frequentazione molto limitata. In pratica è stata fatta una richiesta di compartecipazione alla cura dei figli e quando questa richiesta ha sempre più successo e i padri chiedono di essere partecipi questo gli viene vietato generando quindi un effetto opposto perchè nell’incoscio collettivo questo viene percepito come un: “vi abbiamo chiesto di occuparvi dei figli ma non azzardatevi a farlo”.
Non si tratta certo di una mossa intelligente e per questo si è sempre ritenuto che si trattasse di una semplice strategia processuale, non a caso con la legge attuale chi controlla i figli controlla anche la ex casa coniugale e i soldi del coniuge (ho affrontato questo tema nell’articolo Abbandonare la cultura dell’anonima sequestri ed entrare nell’era della genitorialità responsabile. )
Pur essendo innegabili gli effetti di un sistema costruito di fatto per generare conflitto invece che sedarlo la risposta mi appariva parziale. Mi sono domandato se questo effetto non avesse radici più profonde e addirittura identificasse una delle diverse ambivalenze femminili.
Facciamo prima di tutto il quadro della situazione:
Le ricerche dimostrano che i papà si comportano in modo diverso con i loro piccoli non solo quando la mamma è assente, ma anche quando non li sta a guardare e che gli stessi neonati avvertono la differenza . Uno studio ha confermato che quando mamma, papà e bimbo sono tutti assieme si verificano meno interazioni fra padre e figlio, mentre quando un padre si trova da solo col suo bambino il loro modo di giocare è molto più spontaneo. Stabilire questa gradevole spontaneità richiede di passare del tempo assieme da soli …. Louann Brizendine il cervello dei maschi
I ricercatori dell’Ohio State University hanno riscontrato che le opinioni dei padri sul proprio grado di impegno nella cura del neonato non hanno alcun peso. Sono le madri a guidare le danze; sono loro le custodi dell’accesso dei padri ai bambini: alcune possono essere molto incoraggianti e aprire la porta del coinvolgimento del padre, mentre altre preferiscono sbarrarla a suon di critiche. Louann Brizendine il cervello dei maschi
Non parliamo di separazioni, stiamo parlando di coppie al momento unite e anche in questo caso c’è una tendenza, (fortunatamente non in tutte le donne o perlomeno non con la stessa intensità), a boicottare o controllare in maniera oppressiva il rapporto del padre con i figli. Va detto che affinchè il cervello paterno si formi è necessaria l’interazione del genitore con il neonato, (il termine tecnico con cui si indica l’interazione genitore-neonato è sincronia), è il contatto a favorire la formazione dei circuiti cerebrali paterni, un meccanismo che non va assolutamente boicottato come inconsciamente e talvolta consciamente molte madri fanno.
Più un uomo tiene stretto il suo bambino e se ne occupa, più il suo cervello produce connessioni per il comportamento paterno. Louann Brizendine il cervello dei maschi
L’informazione veramente interessante la offre sempre la dottoressa Brizendine citando le ricerche di Pasley (2002) e rimandando per approfondimenti a Roopnarine (2005)
Alcuni ricercatori hanno scoperto che le madri meno critiche nei confronti dei mariti e che ne incoraggiavano l’interazione con il figlio neonato sono avvantaggiate nel rapporto di coppia … Louann Brizendine il cervello dei maschi
In pratica si è scoperto che le madri che incoraggiano la formazione della sincronia padre-figlio guadagnano un bonus nel rapporto di coppia. Questa constatazione può cambiare di fatto anche la nostra percezione del problema almeno per una parte di casi. Siamo abituati a pensare che le madri boicottano il rapporto padre -figlio a causa di una separazione mal digerita mentre potrebbe essere addirittura successo che sia stato l’aver boicottato il rapporto padre – figlio ad aver almeno in parte contribuito alla separazione.
Volendo estendere il ragionamento ai casi di alienazione genitoriale perpetrati dalla madre nei confronti del padre possiamo addirittura ipotizzare che una alienazione inconsapevole (forse) già fosse in atto durante il rapporto di coppia anche se ovviamente celata, fatta di apparente disponibilità subito stroncata da critiche pretestuose e che dopo la separazione semplicemente non ci fosse più il bisogno di mantenere le apparenze. Possiamo addirittura ipotizzare che la madre alienante abbia in qualche caso boicottato addirittura il rapporto di coppia proprio per poter avere il figlio tutto per sé.
Non ho trovato ricerche in tal senso ma credo che sarebbe interessante verificare l’ipotesi che le madri incoraggianti dopo la separazione assumano un atteggiamento positivo e cerchino di mantenere il rapporto padre-figlio mentre le madri già di loro boicottanti proseguano nella loro opera dopo la separazione senza più remore nè ostacoli.
La mia opinione è che anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una ambivalenza del mondo femminile che si trova in mezzo al guado tra il passato e il futuro e come sempre accade in questi casi c’è chi affronta il fiume con coraggio, chi vuole tornare indietro e chi resta fermo dove si trova in una situazione ambigua.
In passato il ruolo paterno era marginale fino alla preadolescenza dei figli, (conta molto anche la cultura del paese, in Kenia e in Giappone i bambini passano il triplo del tempo con la madre mentre in India un decuplo – Simon Baron Cohen – questione di cervello), anche se gli ambiti di pertinenza erano abbastanza chiari, alla madre spettava il ruolo di cura e al padre quello di guida, soprattutto per i figli maschi che appena in grado iniziavano a seguirlo nelle sue attività meno pericolose come la caccia a piccole prede o la pesca nel fiume. In molte società, con l’adolescenza, i figli venivano sottratti alle madri e lanciati nella loro vita adulta . Con la diffusione dell’agricoltura il padre viveva gran parte del suo tempo insieme alla prole e tutte le attività artigianali si svolgevano in una bottega che era spessissimo un pezzo dell’abitazione. In pratica, a parte i lavori come mano d’opera per le grandi opere pubbliche e il servizio militare il padre e i figli vivevano e lavoravano a stretto contatto.
La rivoluzione industriale cambia tutto, la produzione di massa con grandi macchine e la famigerata catena di montaggio costringe i lavoratori a raggiungere il posto di lavoro e ad essere sostanzialmente inaccessibili durante l’orario lavorativo. In precedenza invece un contadino poteva fermarsi a chiacchierare con un conoscente di passaggio o prendere delle pause.
Il padre diventa sempre più assente e il compito di seguire i figli viene accentrato nelle mani materne. Io per scherzare dico che “la mamma era il tribunale e il padre era il boia” nel senso che la madre redigeva la sentenza e stabiliva la punizione mentre il padre la eseguiva. Classica è la frase: “lo dico a tuo padre”.
Negli ultimi decenni, come già detto, dal mondo femminile è arrivata la richiesta ai padri di invertire questa situazione e fornire un aiuto pratico ma, probabilmente, non si sono rese conto che non puoi chiedere a qualcuno di cambiare i pannolini senza dare per scontato che questo poi chieda di avere voce in capitolo anche su altre scelte prima appannaggio del materno creando frizioni in diversi casi.
La cura come relazione
Personalmente credo che almeno una delle origini dell’ambivalenza in esame vada ricercata nella diversa visione maschile e femminile della cura. Per una donna generalmente il compito di cura è un pezzo della relazione quindi non prendersi cura di una persona significherebbe non avere una relazione, (in questo caso una relazione madre-figlio). Per un uomo la cura non è connessa con la relazione ma è semplicemente una cosa da fare. Giusto per fare un esempio quando cambiavo i pannolini a mio figlio o i pannoloni a mia madre quando purtroppo l’ultimo periodo della sua vita aveva perso l’autosufficienza io vedevo la cosa in questo modo
pannolino sporco (problema) –> cambiare pannolino (soluzione)
non perchè cambiavo i pannolini ritenevo di avere una relazione affettiva con mio figlio ma questa relazione affettiva era il frutto invece del fatto ,ad esempio, che ci giocavo insieme. Non a caso una donna che non si prende cura del figlio ha complessi di colpa e per esempio mia madre preferiva che fossimo io e i miei fratelli a occuparci di lei piuttosto che una estranea.
Susan Pinker nel suo libro “il paradosso dei sessi” porta degli esempi di donne in carriera che hanno voluto sacrificare tutto perchè non volevano essere escluse dalla cura dei figli o dei propri cari pur essendo perfettamente in grado di pagare qualcuno per sostituirle.
All’atto pratico non c’è differenza per il bambino se non il fatto che una donna si senta in qualche modo obbligata alle attività di cura mentre un uomo le veda semplicemente come una necessità.
Il materno come fonte di riconoscimento sociale
Da sempre la funzione riproduttiva della donna è stata valorizzata. La dea Madre o grande madre è uno dei principali punti di riferimento della cultura mediterranea. Il miracolo della nascita e con la nascita nuove forze per far funzionare l’economia e rimpolpare l’esercito. Ogni donna in fondo ritiene che sarà mal giudicata se non si prenderà cura dei figli e al contrario che la funzione di madre può essere un ottimo alibi da usare all’occorrenza.
Questa situazione porta a casi estremi come ad esempio quella madre che lascia il marito per un esponente della malavita locale, invece di lasciare le figlie al marito e viversi la sua storia d’amore le porta con sè in quell’ambiente di certo poco consono ma quel che è peggio le condanna al programma di protezione che per una adolescente significa vedersi la giovinezza completamente rovinata. Di certo non potrà aspettarsi altro che rancore o nel migliore dei casi indifferenze dalle sue figlie eppure tenerle con sè in una situazione così “compromessa” lo ha ritenuto preferibile rispetto ad abbandonarle sia pure con il padre.
Per onestà intellettuale devo dire che alcuni evoluzionisti e la stessa Brizendine ritengono questo comportamento boicottante della madre verso il padre frutto di un istinto evolutosi nei tempi in cui gli esseri umani vivevano nei piccoli villaggi e in cui le donne crescevano i figli in maniera comunitaria tra donne e quindi il padre non essendo ovviamente un elemento femminile viene percepito come alieno alla cerchia di donne della famiglia. Pur essendo io un convinto evoluzionista, in questo caso, la tesi non la trovo convincente. Qualora però questa fosse la risposta giusta sarebbe un problema perchè alla richiesta (consapevole) di aiuto e condivisione nella gestione dei figli si contrapporrebbe un istinto (inconsapevole) che boicotta proprio il rapporto del padre con i figli rendendo vano ogni sforzo.
Perchè lo Stato esalta il materno?
In realtà l’ambivalenza in questione non è solo femminile ma è anche della società. Da un lato cerca di limitare le nascite per problemi di sovrappopolazione e perchè non serve più una produzione massiva di figli nè all’economia nè all’esercito mentre dall’altro ha assunto un atteggiamento mammista nelle separazioni e non solo.
Da un lato vuole promuovere l’occupazione femminile e dall’altro dice agli uomini , tramite il sistema giudiziario, che è meglio non affezionarsi ai figli perchè in caso di separazione dovranno dimenticarseli.
Mi lasciò senza parole una discussione ad un mio post su una pagina fb con una persona che con molta maturità da un lato ma tanto disincanto dall’altro sosteneva che il matrimonio fosse un suicidio per un uomo e i figli fossero solo uno strumento di ricatto nelle mani delle madri. Pensavo che fosse un padre separato anche se non mi quadrava il fatto che mi desse del voi quando normalmente su internet si usa il tu oltre a qualche altro dettaglio. Ad un certo punto, insospettito, gli chiesi l’età. Aveva 13 anni.
Nell’inconscio collettivo maschile lo stato italiano sta sponsorizzando una visione di questo tipo, volta a disimpegnare dai rapporti stabili e dalla paternità, perchè?
La risposta che mi sento di azzardare è che in fondo la fine della grande madre spaventi. Una mia amica ha detto:
Agitano la più antica delle paure…. quella della fine della “grande madre” archetipo ancestrale della portatrice di vita.
Minacciando la sua fine evocano la paura della “fine definitiva”. Tanathos che vince sulla vita.
Detta più terra terra la società mediterranea ha paura della morte della donna madre e assume addirittura atteggiamenti estremamente controproducenti pur di non farci i conti. Personalmente vedo nell’ottocento l’affermarsi di questa paura e un indizio molto chiaro è da ricercarsi nelle fiabe. Molte delle fiabe che conosciamo sono state scritte nell’800 ad esempio dai fratelli Grimm ma sono solo rimaneggiamenti di fiabe appartenenti alla tradizione popolare. Nella versione originale a voler uccidere Biancaneve non era la matrigna ma la madre che non voleva una concorrente nel suo regno, (neppure strana come cosa, pensiamo all’imperatrice bizantina Irene che per poter governare fece accecare il figlio). Anche Hansel e Gretel nella versione originale non sono abbandonati per una idea della matrigna ma della madre. In pratica mentre in precedenza le fiabe descrivevano una realtà cruda ben conosciuta dai bambini dell’epoca in cui le madri venivano viste anche nella loro versione umana e non solo in quella angelicata con l’ottocento le fiabe creano la figura della matrigna, (sostanzialmente neutra in precedenza), come capro espiatorio. In questo cambio improvviso di rotta avrà avuto un ruolo il cambio del sistema di lavoro con il padre non più impegnato vicino casa ma lontano dove la rivoluzione industriale richiedeva la sua presenza?
Per un lungo periodo la depressione post partum è stata un tabù eppure colpisce il 10% delle donne che hanno partorito. L’idea della madre che vive beata della presenza del figlio è solo propaganda, una donna madre ha anche momenti di rifiuto e in un numero consistente di casi anche di peggio. Ancora oggi i mariti non sanno esattamente che mostro è la depressione post partum e non sanno che hanno delle probabilità non basse di doverci combattere ma soprattutto non sanno come riconoscerla e cosa fare.
Una parte significativa del crollo della natalità è dovuta alla sempre peggiore considerazione che gli uomini hanno della paternità e le cose peggioreranno con l’arrivo degli anticoncezionali orali per gli uomini perchè adesso è facile capire se si usa un preservativo o meno mentre in futuro non sarà facile capire se uno prende una pillola o meno. Verranno a mancare tutti i neonati da pillola dimenticata.
Ettore Panella
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il 10% di donne affette da depressione post partum non è il 90% mi pare. Ci sono neogenitori e neomamme più o meno felici (specie se il figlio è desiderato), e alcuni/e che hanno problemi
Il succo dell’articolo è che comunque una donna ha sempre torto..addirittura sarebbe già “alienante” durante il matrimonio (la PAS non esiste) che finirebbe per colpa sua, ma gli esponenti del mio sesso ce l’avranno una cavolo di responsabilità?.Tutte vittime delle critiche di queste mogli “alienanti”? (comunque se combino un guaio col pargolo mi sembra ovvio avere qualche critica che io sia uomo o donna),.dalla beddamatresantissima passiamo al beddopatresantissimo (quando in realtà esistono pessimi padri come pessime madri) e poi vorrei anche conoscerli questi padri che durante il matrimonio si prendono cura del bimbo..l realtà è che parecchi padri si accorgono di esserlo solo dopo la separazione..se se ne accorgono. Comunque ci sono genitori apprensivi e soffocanti e genitori che non lo sono e si occupano dei figli in maniera sana. Una madre che vuole occuparsi del figlio non è di per sè una alienante.
Vabbè..diamo pure la colpa alle fiabe. Comunque nel medioevo era il ruolo materno era marginale..i figli erano del padre, la madre se ne occupava quando erano piccoli su delega paterna quindi tutto sto gran potere c’era fino a un certo punto. E non capisco perchè un uomo non potrebbe vedere la cura come relazione tanto quanto una donna
la depressione post parto rappresenta un aspetto “patologico” il 70% prova il baby blues e in ogni caso dei momenti di rifiuto verso il bambino lo provano tutte, sono umani e non vanno demonizzati.
L’articolo si domanda perchè alla richiesta dei tempi passati di un maggior impegno dei padri corrisponde una marcia indietro femminile nel momento in cui si stanno moltiplicando i casi di padri presenti
La tesi che io sostengo è che la madre alienante non lo diventi in seguito alla separazione ma lo sia in qualche modo già durante il matrimonio e se (come dice la ricerca citata) una madre che agevola il rapporto padre figlio riceve un bonus nel rapporto di coppia allora è lecito attendersi che il comportamento opposto generi un malus
viceversa una madre incoraggiante non sarà alienante dopo la separazione.
Sulla PAS c’è un dibattito nel mondo scientifico se sia una sindrome (e quindi vada curato il bambino) o un problema relazionale (e quindi vada curata la relazione), infatti io preferisco usare il termione alienazione genitoriale che è neutro rispetto al dibattito in atto. Va precisato che il dibattito tra professionisti è importante per capire in che modo curare al meglio un problema (che la stragrande maggioranza dei professionisti ritiene esistente)
Le ricerche citate dall’articolo non parlano di critiche corrette ma di critiche pretestuose (si immagina che i ricercatori siano in grado di distinguere)
occuparsi del figlio ed essere alienanti sono due cose diverse
le fiabe le ho citate come prova di un cambio culturale avvenuto nell’800 . se nelle fiabe (che hanno origini molto antiche) le madri vengono sostituite dalle matrigne ci sarà un motivo? Quale è?
Il problema è sorto con il divorzio, prima il matrimonio era indissolubile e quindi i figli stavano con entrambi i genitori ed era sempre la madre ad occuparsene i primi anni. al contrario dei giorni nostri l’infanzia in passato non esisteva, appena in grado i bambini lavoravano. Comunque gli evoluzionisti fanno riferimento agli antichi villaggi dove l’umanità si è evoluta. I pochi millenni in cui l’umanità ha iniziato a modificare sensibilmente l’ambiente in cui viveva da un punto di vista evolutivo sono poco significativi.
Secondo me un uomo non vede la cura nè come una realizzazione nè come una forma di relazione ma come un compito da svolgere perchè va nell’interesse del figlio, il gioco è invece un elemento che viene associato alla relazione (questa è la mia opinione)
giocare e prendersi cura sono forme di relazione