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Perché di fronte ad un evento traumatico come la perdita del lavoro, una menomazione, un lutto o un grave trauma alcune persone riescono non solo a superare il colpo ma addirittura ad affermare che la loro vita è diventata migliore di prima? Qual è il segreto?

 

 

La nostra vita scorre tranquilla, il nostro mondo è solido, ordinato, appagante o almeno così ci appare. Tutto sembra viaggiare su binari preordinati eppure il male è in agguato. Improvvisamente il nostro mondo è sconvolto da un incidente, un criminale o un cataclisma naturale. Si è creata una frattura fra quello che era la nostra vita e quello che sarà in futuro. Cosa permette ad alcune persone di trasformare il disastro in una opportunità? Perché, al contrario di altri ci sono persone che non si abbattono e non si lasciano trascinare sul fondo ma anzi trasformano l’esperienza nella migliore cosa che sia loro mai accaduta? Se lo è chiesto Al Siebert che ha passato la sua vita a studiare i sopravvissuti e ha raccolto le sue esperienze nel libro “il vantaggio della resilienza”.

 

Andiamo per gradi: l’arte di volgere a proprio vantaggio anche gli eventi più infausti si chiama serendipità ed il termine è stato coniato da Horace Walpole ispirandosi al racconto “i tre principi di Serendippo (Sri Lanka)” in cui durante il loro viaggio i tre principi trovavano cose che non stavano cercando.

 

“… perché si manifesti la sendipità devono essere presenti tre elementi: anzitutto, deve accadervi qualcosa di imprevisto o accidentale; secondo, la vostra sensibilità, il buonsenso e la saggezza o la sagacia vi conducono alla scoperta del terzo elemento: un vantaggio, un dono o un risvolto positivo inattesi inerenti all’accaduto”

 

Bisogna stare attenti a non confondere la serendipità con il semplice colpo di fortuna quale ad esempio potrebbe essere comprare una casa e durante i lavori di ristrutturazione trovare sotto una mattonella un tesoro. Bisogna anche stare attenti a non confondere la serendipità con gli eventi sincronici come ad esempio pensare a qualcuno e vederlo spuntare inaspettatamente. La serendipità è una vera e propria ricerca di qualcosa di positivo nell’evento nefasto. Secondo Al Siebert:

 

Le tre domande che possono predisporre la mente a scovare i vantaggi che si nascondono in eventi da cui gli altri si lascerebbero travolgere sono:

  • Qual è il buono di tutta questa faccenda?
  • Come posso volgerlo a mio vantaggio?
  • Quale insolita opportunità si è venuta a creare?

 

Il nostro cervello è una macchina dalle grandi potenzialità, se gli si chiede di trovare qualcosa è molto probabile che la trovi. Come giustamente dice Al Siebert gli esseri umani guardano agli eventi della loro vita secondo due opposte prospettive emozionali, ovvero quello che li rende felici e ciò che li rende infelici. Bisogna evitare di restringere la visuale spingendo il cervello a focalizzarsi solo su ciò che rende infelici perché così facendo gli si impedisce di fatto di notare gli aspetti che invece potrebbero rendere felici. In parole povere chi si lascia abbattere ha fatto in modo che il suo cervello vedesse solo gli aspetti tragici mentre chi ha dato una svolta positiva alla propria vita si è concentrato sulle opportunità. Esistono molti esempi di persone che hanno trasformato la perdita del posto di lavoro nell’opportunità per crearsi la loro occupazione ideale oppure persone che hanno benedetto l’incidente che li ha ridotti sulla sedia a rotelle perché li ha strappati ad una vita superficiale e vacua facendogli apprezzare i veri valori dell’esistenza e dando un senso alla loro vita. Al Siebert nel suo libro cita moltissimi esempi di persone comuni che hanno vissuto esperienze dolorose da cui hanno saputo trarre l’opportunità di arricchire e migliorare la loro esistenza e molti altri se ne potrebbero citare. Pensiamo a San Francesco, era un ragazzo come tanti che apprezzava i piaceri materiali eppure l’esperienza della prigionia, (e che prigionia), lo ha trasformato nel Santo più amato di tutti i tempi.

 

La serendipità è una dote innata? E’ vero che non tutti la posseggono ma fortunatamente questa capacità si può apprendere. Dice Al Siebert:

 

La serendipità è un’arte che si impara: è il servirsi deliberatamente delle nostre capacità mentali ed emozionali interne per trasformare in un evento positivo o benefico una potenziale perdita o battuta d’arresto. L’arte della serendipità è un potente antidoto di cui ci si può dotare contro il dolore, la disperazione, il vittimismo.

 

Chi non si abbatte, anche in presenza di pesanti colpi del destino avverso, vede venire alla luce risorse che mai si sarebbe immaginato di avere e saranno queste a permettere di convertire l’evento infausto in una opportunità.

 

Messa in questi termini sembra tutto molto semplice ma ovviamente non è così, chi si vede travolto dal destino passa attraverso diverse fasi, (Al Siebert ne ha individuate sei), dalla prima e più penosa in cui si rivive l’esperienza traumatica parlandone con gli altri finché non si incomincia a controllare il proprio Spirito fino al momento in cui si capisce che le ferite emozionali sono cicatrizzate e che il cammino fatto ha prodotto una persona migliore.

 

Un aspetto insidioso dei traumi che non trovano uno sbocco positivo o comunque non vengono superati è che si trasmettono alle generazioni successive condizionandone l’esistenza

 

I sopravvissuti a un trauma ripetuto e persistente non solo non sono più gli stessi di prima, ma possono trasmettere il trauma ai figli, innescando così un circolo vizioso.

 

E’ questo il caso di popoli che non riescono a non odiarsi quando avrebbero tutto l’interesse a collaborare ottenendo entrambi grandi vantaggi economici e una vita notevolmente migliore. Al Siebert porta l’esempio dei nativi americani ma il conflitto fra israeliani e palestinesi è ancora più calzante secondo me.

 

Quest’ultimo concetto ci porta dritti al perdono. Una certa interpretazione superficiale dell’insegnamento cristiano e la scellerata tendenza a vincolare atti di scarcerazione di colpevoli al perdono delle vittime hanno diffuso l’idea che il perdono sia qualcosa che vada a vantaggio di chi ha commesso il crimine mentre in realtà è a vantaggio di chi lo ha subito. Il rancore sottrae energie a chi lo prova impedendo di indirizzarle verso scopi costruttivi e soprattutto gli impedisce di guardare al futuro inchiodandolo in un limbo. Il perdono sincero permette alla vittima di concentrarsi su ciò che gli resta e sui giorni a venire utilizzando le energie non più bloccate dal rancore per dare un senso nuovo alla propria esistenza.

Poiché il perdono non cancella il male fatto questo non è in sé utile al colpevole anche se ne può ridurre le conseguenze proprio in virtù di quanto appena detto. Io paragono il male ad un sasso lanciato in uno stagno, l’impatto creerà una serie di onde che si propagheranno nell’acqua. Il perdono blocca queste onde che smetteranno di fare altri danni o tenere imprigionate energie vitali.

 

 

Ettore Panella

Questo articolo ha 6 commenti

  1. Maria

    molto interessante! Ho imparato un nuovo temine! Ringrazio vivamente1

  2. marco

    in teoria la filosofia in genere potrebbe se studiata e “aplicata”, aiutare a vivere meglio o quantomai a capire meglio ciò che ci succede nella vita…di fatto però siamo talmente travolti e disarmati da così tanti fattori incontrollabili, fuori dalla portata della nostra possibilità di reazione, che anche volendo non abbiamo nessuna possibilità di far cambiare le conseguenze…….

  3. Claudia

    Bene, da un bel commento in una brutta discussione su facebook ho trovato un’ottima nuova risorsa! Ancora una volta confermo l’opinione che il ‘bello’ si trova ovunque, se si cerca con curiosità. Grazie!Claudia

  4. Felicia

    Mai abbattersi…anche se bisogna fare violenza con se stessi…esso è un cammino psicologico e spirituale molto profondo…chi per natura è negativo incotra più ostacoli…vorrei dire tante cose…Purtroppo dal punto di vista sociologico ed economico…le avversità sono parecchie…vorrei volare in alto…ma a volte le leggi del mio paese me lo impediscono, vorrei saltare nel cielo ma il mio cuore è ferito e la rabbia dell’esser stato ingannato è forte…parlerei all’infinito…Dottoressa Amato Pscicologa

  5. IMMA

    si chiama resilienza, questo è il termine scientifico

  6. grazia

    Mi chiedo che cosa si riesca a trovare di buono o ‘più bello di prima’ in caso di cose gravissime, come lutti, violenze e cose del genere. Secondo me chi riesce a superare col sorriso le avversità è perchè ha ancora delle risorse accumulate da prima, non perchè gli piovono dal cielo dopo (cosa rarissima. Vedi anche i terremotati dell’Aquila: sono tutti lì a sorridere dopo tutto questo tempo dalla scossa? Mi pare proprio di no). E i tizi che sono più felici dopo un incidente perchè ora ‘possono dedicarsi di più alla famiglia’ sono evidentemente persone che non hanno problemi di soldi, l’ansia di arrivare a fine mese o doversi pagare delle cure in cliniche private (perchè negli ospedali attuali ti buttano fuori dopo due giorni e il resto della riabilitazione te la paghi tu). QUindi, ok, è ovvio che essere ottimisti aiuta, ma smettiamola con queste cavolate del ‘pensiero positivo’ che risolve tutto. In realtà è la mancanza di altri problemi che diminuisce il problema traumatizzante!

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